Questo post intende andare oltre ogni ideologia o giudizio di carattere morale, e proporre due semplici soluzioni di politica economica al cancro che paralizza l’Italia: l’economia criminale e l’evasione fiscale.
Nel XII rapporto sulle attività mafiose in Italia, redatto da Sos Impresa, società di Confesercenti, risulta che la prima azienda per fatturato e utile netto è la “Mafia SpA”: i numeri sono impressionanti, si stima che il fatturato sia di 135 miliardi di euro l’anno, l’utile di 78 miliardi e un “ramo commerciale” che genera un volume d’affari che da solo supera i 100 miliardi di euro, una cifra pari a quasi il 7% del PIL italiano. Ovviamente questi “gloriosi” risultati sono ottenuti tramite racket e usura, minacce e attentati, sfruttamento della prostituzione, spaccio di sostanze stupefacenti, e tanto altro; ormai le mafie sono presenti in tutti i settori dell’economia italiana, dall’edilizia al business dei centri commerciali, dal comparto ortofrutticolo allo smaltimento dei rifiuti e alla realizzazione di impianti ad energia rinnovabile. Un grandissimo giro d’affari che, in quanto illegale, è quasi totalmente “esentasse” e quindi non contribuisce, se non indirettamente, ad aumentare le entrate dello Stato. Quanti di questi miliardi potrebbero essere utilizzati per la crescita economica legale del nostro Paese, e redistribuiti per finanziare le pensioni, la sanità, la ricerca e lo sviluppo? E quanto migliorerebbe la crescita di lungo termine, grazie al risanamento dei conti dello Stato, e quindi la riduzione del debito pubblico e degli interessi su quest’ultimo?
A questo punto propongo una soluzione, più da uomo della strada che da economista, partendo da un dato di fatto storico: il proibizionismo ha fallito. Come successe per l’alcool, anche per quanto riguarda la droga e la prostituzione non è compito dello Stato proibire che le persone traggano “piacere” dal consumo di questi “beni”: se lo Stato lo vieta, i consumatori troveranno canali alternativi per l’approvvigionamento, il che vuol dire lasciare il monopolio alla criminalità organizzata. Come è stato scritto su The Economist (che non ha certo posizioni libertarie) in un articolo del 5 marzo 2009 “regolamentando e tassando il commercio di stupefacenti si può trasformare il problema in una questione di sanità pubblica. Gli introiti fiscali potrebbero essere investiti nei programmi per la prevenzione e la cura delle dipendenze. La legalizzazione, inoltre, contribuirebbe a sconfiggere il narcotraffico, a migliorare le condizioni di vita nei paesi del terzo mondo che producono droghe e a diminuire le possibilità di finanziamento del terrorismo. Aumenterebbe anche la sicurezza di chi fa uso di stupefacenti, perché migliorerebbe la qualità dei prodotti. […] Non è vero che la legalizzazione fa aumentare i tossicodipendenti: il consumo nei paesi dove le droghe sono legali è lo stesso che in quelli dove sono vietate. Invece è dimostrato che il proibizionismo è dannoso, soprattutto per i paesi più poveri. La legalizzazione è una brutta soluzione, ma dopo decenni di fallimenti forse vale la pena provare”.
E aggiungo: volendo si può estendere tale ragionamento alla prostituzione clandestina; perché non riaprire i “bordelli”, in modo che lo Stato controlli un fenomeno (il mestiere più antico del mondo) altrimenti in mano alle mafie, ottenendo da esso entrate fiscali e maggiori controlli sanitari?
Non so se sia giusto o sbagliato drogarsi e andare con una prostituta, ma sono certo che combattere le mafie e l’evasione fiscale è giustissimo.
Questo è un modo per farlo.
Nessun commento:
Posta un commento