mercoledì 29 giugno 2011

MA DI CHE SI OCCUPANO I TELEGIORNALI ?

In questi ultimi mesi i telegiornali nazionali delle diverse reti televisive, pubbliche e private, sono stati al centro dell’attenzione per via della loro supposta non imparzialità o per il mancato rispetto della normativa sulla par condicio. In questa sede non si vuole entrare nel merito di questi eventi, ma solo dare un contributo circa “l’impostazione di fondo” dei più visti Tg delle ore 20: Tg1, Tg5 e Tg La7, con indicazioni anche sul Tg24 di Sky.

Si è, pertanto, effettuata un’analisi attraverso la quantificazione degli argomenti dei titoli di apertura e l’ordine con cui sono state date le notizie nei Tg nella settimana che va dal 9 al 15 maggio, caratterizzata dagli scontri pre-elettorali, dalla rivolta in Libia, dagli sbarchi a Lampedusa, dall’omicidio di Melania Rea e dalle vicende del premier con la giustizia. Per condurre l’analisi, si è scelto di considerare tutte le notizie lette nei titoli dei Tg, sebbene il loro numero vari da Tg a Tg. Il risultato non si modifica, nella sostanza, se si fa riferimento allo stesso numero di notizie per ciascun telegiornale, scartando, in caso di eccesso, le ultime.

Il Tg che ha dato più notizie nei titoli è il Tg5 (mediamente 8), contro le 6 del Tg1 e del Tg La7. Andando ad analizzare la tipologia delle notizie, sono evidenti le forti differenze (tabella 1). Simili Tg1 e Tg5, diverso Tg La7. Quest’ultimo, infatti, punta molto su argomenti di politica, interna ed estera, tanto che più della metà delle notizie riguarda questo ambito. Solo una notizia su 5, invece, ha tale natura negli altri due Tg, orientati molto di più sulla cronaca interna e, in parte, su quella estera. Anche le notizie che trattano di economia, finanza e giustizia assumono un diverso peso nei Tg: sono molto trascurate dal Tg1 (una su 20) e alquanto dal Tg5 (una su 10), mentre il Tg La7 ne dà un rilievo maggiore (una su 7). Il Tg1 con una notizia su 5 di attualità, tv, cinema e teatro è nettamente la testata televisiva che tratta più ampiamente questa tipologia di informazione, una su 10 il Tg5 e nessuna informazione viene, invece, fornita a riguardo dal Tg La7.



Riassumendo:
Tg1: moltissima cronaca e un po’ di politica e attualità varia, pochissimi temi economici e finanziari o sulla giustizia.
Tg5: moltissima cronaca, un po’ di politica, un po’ meno di attualità e di economia, finanza e giustizia.
Tg La7: moltissima politica, un bel po’ di cronaca e un po’ di economia, finanza e giustizia; nulla di altro.

E’ stato effettuato, poi, un approfondimento in merito all’ordine con cui vengono date le notizie, limitandosi ai primi due posti (tabella 2). È la politica interna a fare la parte del leone con una variabilità più accentuata per il Tg La7 che dà rilievo anche alla cronaca estera e raramente alla giustizia.



Un’ultima analisi ha riguardato il Tg24 di Sky, che va in onda sul digitale satellitare a pagamento, per avere un termine di paragone, se così si può dire, “diverso” (tabella 3). Mediamente il Tg di questa rete apre con una numerosità di titoli superiore agli altri Tg presi in esame (circa 10). Nella settimana considerata, esclusa l’edizione delle 20 del 13 maggio, non trasmessa, l’andamento di fondo delle notizie tende a quello del Tg La7 con un po’ meno politica e più attualità, specialmente sport. Anche per il Tg24 le notizie di sport e attualità varia sono relegate agli ultimi posti nell’ordine dei titoli annunciati.



Da questa “analisi del contenuto”, come tecnicamente si chiama l’indagine sopra esposta, emerge chiaramente che le “sensazioni” di molti sulla “impostazione di fondo” dei Tg più visti hanno trovatodiretto riscontro nella oggettività dei dati esaminati.



(FRANCO VESPIGNANI & ELEONORA FARNETI)
da ilfattoquotidiano.it

domenica 26 giugno 2011

PLATINI, GLI ARABI E GALEANO

Michel Platini fabbricava giocate da illusionista. Oggi, da presidente Uefa, fa soprattutto l’illuso. Se non addirittura il colluso. E quasi sorprende per l’ostinata ingenuità delle sue tesi. Insiste nel sognare una dimensione proletaria e democratica per un movimento ormai da decenni totalmente stravolto dal business. E dalla brutale arroganza di chi ne fa quello che vuole. Fa tenerezza quando sostiene che “l’identità di un club dovrebbe essere più radicata nel suo paese, dal presidente ai giocatori”.

Duole constatarlo, ma questo Platini inutilmente donchisciottesco stride con quello divino del tempo che fu. Non esiste relazione tra il genialoide che pennellava e il governante che scarabocchia. Di questo passo le attuali croste scoloriranno la memoria degli allora capolavori. La verità è una sola, e lui la conosce bene. La verità è che il pallone rotola a rotta di collo verso il deserto. Quello vero, quello delle emozioni. E non c’è nulla e nessuno che possa impedirlo. Sono gli arabi i sovrani assoluti. Lo saranno ulteriormente nelle stagioni a venire. Di calcio non capiscono un tubo? Inezie. E poi siamo certi della superiore competenza dei paperoni europei?

Nel 2022 celebreranno il loro trionfo col Mondiale in Qatar. Ma per quella data avranno già fatto razzia comprando tutto il comprabile, club, giocatori, diritti televisivi. Il pioniere fu Mohamed Al Fayed, era il ’97 quando s’impossessò del Fulham. Oggi fanno notizia gli sfrontati investimenti del “parigino” Al Thani, quello che ha soffiato Leonardo a Moratti. Una sentenza più che una tendenza. Scolpita in allegria da Sepp Blatter, l’ineffabile orchestratore delle dinamiche più perverse.

Platini se ne faccia una ragione. E rilegga Galeano per afferrare il finale della storia. In “Splendori e miserie del gioco del calcio” l’uruguayano profeticamente annotava: “Siete mai entrati in uno stadio vuoto? Fate la prova, entrate in uno stadio vuoto ed ascoltate. Non c’è niente di meno vuoto di uno stadio vuoto. Il Maracanà continua a piangere per la sconfitta brasiliana del Mondiale del ’50. Parla in catalano il cemento del Camp Nou e in euskera conversano le gradinate del San Mamès. Lo stadio del re Fahd, in Arabia Saudita, invece, ha palchi in marmo ed oro e tribune ricoperte di tappeti, ma non possiede una memoria. E non ha granché da dire”. Ecco in quale lugubre direzione marciamo.Verso cattedrali mute. Verso un calcio che del ricordo dei ricami di Platini non saprà più che farsene.



(GIORGIO PORRA')
da il fattoquotidiano.it

venerdì 24 giugno 2011

UN BANCOMAT ANTI-EVASIONE

Senza casa e cibo non si vive. E non si vive senza medicine, scuole, vestiti, riscaldamento: sono i cosiddetti bisogni primari. Costano e la maggior parte dei nostri soldi finisce lì. Per qualcuno tutti i soldi finiscono lì; altri addirittura non riescono ad averne abbastanza. Eppure tutti, quelli che hanno più di quello che gli serve per soddisfare i bisogni primari, quelli che hanno quanto basta e quelli che ne hanno meno, tutti pagano le imposte nello stesso modo: su quello che incassano. Ed è una vera ingiustizia.

Immaginiamo una famiglia composta da marito e moglie, con un’entrata di 3.000 euro al mese e che spende per i bisogni primari 2.000 euro; ogni mese gliene restano 1.000 da risparmiare o da spendere per il superfluo. E adesso immaginiamone altre due, una con due figli e un’altra con due figli e anziani genitori a carico; anche queste incassano ogni mese 3.000 euro. La prima spenderà tutto per i bisogni primari e la seconda nemmeno ce la farà a soddisfarli. Eppure tutte e tre le famiglie pagheranno la stessa quantità d’imposte (salvo insignificanti deduzioni), diciamo 500 euro al mese. Perché? Perché le imposte si calcolano su quello che si incassa, nel nostro esempio sui 3.000 euro che entrano ogni mese in tutte e tre le famiglie. Vi pare giusto? Certo che no. Le imposte, dice l’art. 53 della Costituzione, si pagano sulla “capacità contributiva”. E la “capacità contributiva” è quello che si guadagna, non quello che si incassa. L’utile, non il ricavo. Nessuno penserebbe di tassare gli utili di un’impresa senza permetterle di detrarre i costi; vendo patate, alla fine dell’anno ho un utile di 1.000; quanto ho speso per comprare le patate? 500. Bene, pagherò le imposte su 500. Ma le persone fisiche non hanno diritto a detrarre quanto spendono per restare in vita: pagano su quello che incassano, non su quello che guadagnano. E in maniera iniqua, come si è visto.

Naturalmente, volendo, una soluzione ci sarebbe. Basta consentire a tutti di detrarre quello che si spende. Quello che resta è il guadagno, su cui si pagheranno le imposte. Detta così, pare una stupidaggine. Prima di tutto chissà quanta gente racconterebbe al Fisco di aver speso un sacco di soldi per bisogni primari, anche se non è vero. Poi, come si fa a controllare? E ancora: se, con i soldi che mi avanzano, compro una Porsche, non è giusto che, su questi soldi non paghi imposte. E infine: in questo modo il gettito tributario diminuirebbe paurosamente.

Ma una stupidaggine non è. Basta pagare senza soldi, con la cosiddetta moneta elettronica, la carta di credito, il bancomat, la carta prepagata. Vado dal macellaio, compro 20 euro di fettine e pago con la carta; sul mio conto ci sarà un’uscita che un semplice software, leggendo il Pos del macellaio, etichetterà come “soldi dati a Fettine Sopraffine d.i.”; e sul conto del macellaio ci sarà un’entrata che lo stesso software etichetterà come “soldi pagati da Bruno Tinti”. Alla fine dell’anno sempre lo stesso software calcolerà tutti i soldi incassati e spesi dal macellaio e quindi le imposte che deve pagare; e farà lo stesso per me. Fine della tassazione iniqua.

E anche fine dell’evasione fiscale. Perché il macellaio non potrà fare il “nero” e dichiarare alla fine un reddito fasullo; e, come lui, non lo potranno fare medici, avvocati, idraulici, imbianchini, baristi etc. Tutto quello che incassano finirà nelle banche dati del Fisco, poiché i clienti hanno interesse a usare la moneta elettronica: solo così possono detrarre dal loro reddito quello che spendono. Insomma un controllo incrociato capillare e gratuito; il Fisco deve solo organizzarsi e prendersi i soldi che gli toccano.

Già, ma mica tutti hanno una carta di credito! E perché no? È sufficiente pagare lo stipendio o la pensione accreditando i soldi su un conto bancario cui corrisponderà una carta di credito; con quella si pagherà tutto. E nello stesso modo faranno lavoratori autonomi e imprenditori. Se poi uno vuole a tutti i costi contanti, vada a ritirarseli in banca; ma le spese fatte in contanti non se le potrà detrarre.

Resta il problema della Porsche. Ma, prima di tutto, non è un problema per il Fisco: se anche io mi detraessi tutto quanto speso per la Porsche, le imposte le pagherebbe comunque quello che me la vende. E poi è sufficiente aggiungere al prezzo della Porsche una congrua tassa d’acquisto: chi la compra detrarrà dal suo reddito quanto speso per la Porsche, ma contemporaneamente pagherà un surplus destinato al fisco.

Infine la pretesa diminuzione del gettito tributario. Semplicemente non è vero: le imposte sui soldi spesi, detratti dal reddito di chi li spende, saranno pagate da quello che li incassa: i 20 euro delle fettine, su cui io non pago imposte, li pagherà il macellaio.

Molte di queste cose sono state già fatte; e subito disfatte. La tassa di acquisto sui cosiddetti beni di lusso è stata eliminata; gli elenchi informatici clienti-fornitori (e quindi la tracciabilità dei relativi pagamenti) c’erano, ma sono stati eliminati; l’obbligo di pagare con moneta elettronica c’era (da 100 euro in su), ma adesso si può pagare in contanti fino a 5.000 euro (ma solo per via delle norme anti-riciclaggio; per il Fisco, se pago in contanti una casa da 500 mila euro va benissimo): così l’evasione dei lavoratori autonomi che fanno “nero” è garantita. La conclusione è sempre la stessa: gli evasori votano; e votano chi gli garantisce di continuare a evadere. O, quantomeno, non votano chi glielo vuole impedire.



(BRUNO TINTI)
da ilfattoquotidiano.it

giovedì 23 giugno 2011

5 DOMANDE ALLA SINISTRA

Abbiamo vinto i referendum e Berlusconi è alla frutta… Ma ora dobbiamo dire dove li troviamo 40 miliardi di euro in 2 anni, che non sono noccioline…

Carissimi vincitori dei referendum, popolo festante che danzi sul declino berluschino, mi dispiace rompere i santissimi come un’obsoleta maestrina dalla penna rossa, ma qui mi sembra che stiamo scantonando dal nostro più urgente dovere cosmico.

Ho fatto una ricerca sul web e ho ascoltato parecchi dibattiti televisivi aspettandomi che qualche intellettuale progressista mi dicesse dove li troviamo questi soldi indispensabili per evitare il crac finanziario.

Le risposte che ho trovato sono veramente poche e molto grossolane e parziali.

Proprio perché il governo agonizza dobbiamo finalmente smetterla di limitarci a dire cosa non va nell’uomo che ha fottuto un’intera nazione bungando la Costituzione Repubblicana. Gli italiani hanno già dimostrato nelle urne che hanno capito.

Adesso è ora di voltar pagina e passare alle proposte: dove prendiamo questi 40 miliardi di euro?

E già che ci siamo, visto che le toppe non bastano, dove troviamo almeno altri 40 miliardi, all’anno, per ridurre finalmente le tasse su salari e pensioni e ripristinare una serie di servizi sociali essenziali che B. ha buttato nel cesso (assistenza disabili, scuola, devianza)?

E qui però dobbiamo smetterla con i discorsi vaghi, qui servono piani e conti precisi, individuare il come e il quando nel dettaglio. Cioè giuro che mordo al polpaccio chiunque mi dice: “tagliamo le spese militari” mi devi dire COSA tagli, QUANTO tagli e come fai a farlo.

Sappiamo già che lo Stato potrebbe risparmiare cifre spaventose di denaro incrementando la caccia agli evasori, eliminando gli sprechi, diminuendo la burocrazia, abbattendo finanziamenti pubblici ai partiti, alla stampa, sciogliendo (con la forza, resisteranno…) Province e Comunità Montane… Ripetere questa filastrocca non mi soddisfa più, perché poi abbiamo visto che i nostri parlamentari, anche quando hanno loro la maggioranza, si spaccano proprio sui dettagli del COME FARE questi tagli di cui sento parlare da quando mi eccitavo guardando le foto di Marilyn Monroe in bikini (cioè: tanto tempo fa). Quindi cari candidati se volete il mio voto, me lo dovete proprio firmare un contratto chiaro che mi dica DOVE si taglierà e quanti giorni ci vorranno per farlo a partire dall’insediamento del prossimo, auspicabile, governo progressista.

Il buon senso e il pericolo finanziario che minaccia il nostro paese, ci impongono di costruire qualunque alleanza progressista sulla base di un progetto vero e credibile da condividere PRIMA delle elezioni.

E io personalmente sghignazzerò orrendamente in faccia a qualunque candidato alle primarie del centrosinistra che non mi dica e-s-a-t-t-a-m-e-n-t-e dove trova i soldi.

E invito chiunque abbia una competenza professionale su questi temi ad aprire la discussione, a cominciare dallo spazio dei commenti a questo articolo.

Ed è chiaro che un aiuto positivo in questa direzione potrebbero darlo anche molti giornalisti e opinionisti.

Ma anche i comuni cittadini avrebbero il diritto e il dovere di sforzarsi ed esprimere la propria opinione, a volte i non professionisti hanno intuizioni felici.

Ecco quindi 5 semplici domande che rivolgo agli italiani di buona volontà e ai nostri beneamati leader, domande semplici alle quali bisognerebbe rispondere con numeri piuttosto che con frasi filosofiche in politichese che, sinceramente, mi hanno triturato parti preziose del mio corpo e della mia anima.

  1. Quanti miliardi di euro si potrebbero realisticamente recuperare dall’evasione fiscale nei prossimi due anni? Come? (E non dirmi che si potrebbe recuperare il 100% perché non sei Mandrake)
  2. Quanti miliardi di euro risparmieremmo tagliando Province, Comunità Montane, finanziamento pubblico ai partiti e alla stampa, dimezzando il numero dei parlamentari, abbassando lo stipendio e i benefit dei medesimi portandoli sulla media europea e facendola finita una volta per tutte con auto blu, scorte armate inutili, aerei di Stato per stronzate, e missioni all’estero con 50 amichetti e parenti per volta?
  3. Quanto denaro potremmo tagliare di spese militari per nuovi acquisti di navi e cacciabombardieri?
  4. Quanto abbandonando le missioni militari internazionali? Come si fa a pretendere che un paese sull’orlo della bancarotta spenda 1 miliardo di euro (2 mila miliardi di lire) in operazioni militari?
  5. Quanto si risparmierebbe aumentando l’efficienza energetica delle strutture pubbliche? Quanto razionalizzando, sburocratizzando e semplificando la gestione della pubblica amministrazione, della giustizia, della sanità, dei servizi sociali, della scuola, della mutua, dell’esercito, delle aziende a partecipazione statale e di tutto il patrimonio dello stato?
Ben conscio della mia crassa ignoranza riporto qui di seguito i frutti della mia piccola ricerca sul web.

Innanzi tutto non sembra poi così facile capire quanto si evade in italia.

Ho trovato centinaia di articoli sulla necessità di tagliare le tasse sui salari e le pensioni, ma su quanto costerebbe c’è un silenzio imbarazzante. L’unico articolo con dei bei numeri l’ho trovato sul Sole24Ore. Qui si sostiene che il solo taglio delle tasse sulle tredicesime costerebbe 8-9 miliardi di euro dei quali 5 andrebbero a incrementare gli acquisti delle famiglie e quindi ci sarebbe un ritorno in termini di aumento dell’Iva.

Nel 2011 si spenderanno più di 20 miliardi di euro per le forze armate, dei quali più di 3 miliardi di euro in nuovi armamenti.

In un convegno a Alcatraz sugli sprechi dello stato organizzato da Franca Rame nel 2006, si valutò in 5-10 miliardi lo spreco energetico, trovi i link ai video e ai materiali qui.

Si indicarono anche una serie di interventi per aumentare l’efficienza amministrativa e si determinarono le entità di una serie di interventi parziali.

Un successivo approfondimento di proposte e valutazioni fu fatto nel convegno 10 leggi per salvare l’Italia, nel 2007.

Secondo alcuni, ma il calcolo andrebbe approfondito in modo particolare, si potrebbero tagliare più di 2 miliardi all’anno eliminando Province e Comunità Montane e alcune altre sovrapposizioni istituzionali.

Il costo globale della politica è valutato in 4 miliardi all’anno mentre il costo dello spreco pubblico è indicato in 80 miliardi l’anno. In questo studio della Uil invece si parla di 24,7 miliardi di euro di costo complessivo della gestione della macchina istituzionale (dai consigli comunali in su) con possibili risparmi di razionalizzazione del sistema per più di 6 miliardi di euro.



(JACOPO FO)
da ilfattoquotidiano.it

lunedì 20 giugno 2011

IL GOL CHE FECE PIANGERE IL TELECRONISTA

Ne scartò cinque, ne sedette sei, ne segnò due, vinse una partita, pareggiò una guerra, sorprese un secolo. In dieci secondi e in 60 metri scavalcò e ridicolizzò 179 anni di saggi difensori inglesi, capitanati dalla Thatcher.
  
Shilton, portiere, ingannato dall'ultima finta, non voleva crederci e si mise a battere i pugni sul prato. Non sapeva ancora che lo aspettava l'etichetta "left behind". Victor Hugo Morales, telecronista argentino, nato in Uruguay, invece ci credette molto e si batté il cuore per far uscire lacrime: "Quiero llorar". Quello inglese, un po' tonto, non capì che l'arte è una forma di inganno e disse all'inizio che Maradona gli sembrava "rickety". Traballante, come no.  Burruchaga, numero 7, corse accanto a Diego per fare la sponda, ma subito si scostò, perché capì che il sicario non era stanco, né bisognoso di aiuto. La palla, che non era più di cuoio rimase lì, buona buona, attaccata ai piedi di Diego come un bimbo col padre sull'ottovolante, insieme attraversarono il campo, il tempo, un conflitto e l'oceano, e lei rimase male quando la corsa si chiuse, alle spalle della stanca difesa inglese, banalmente in una porta. Ancora, ancora, aveva voglia di dire a Diego: rotoliamo insieme, nel mondo, perdiamoci, navi senza porto. Gli slalom quando sono infiniti alla fine si scoraggiano, non trovando più niente e nessuno da scartare. Era il 22 giugno '86, quarti di finale mondiali, il sole scottava a Città del Messico, a volte le Waterloo hanno altre geografie e secondi tempi micidiali. Era il 55', le Falkland tornarono Malvinas, un gol fece più di un esercito. L'Argentina non era più desaparecida. Quel sinistro buttato lì in corsa, prima di ruzzolare, riscattò la storia, invecchiò un'epoca, ringiovanì il futuro. Non era la fuga di un pazzo solitario, ma la cavalcata di un eroe che usciva dalla trincea e andava all'attacco.  "Io non ci riuscirei mai, finirei per rompermi una gamba", disse di quel dribbling e non solo di quello, monsieur Platini. E Zagallo, glorioso ct del Brasile, precisò: "Diavolo, non venite a dirmi che un tappo come lui, alto 1,70 è nato per il calcio, ha fatto una cosa eccezionale". Due per la verità, perché anche saltare così in alto, al 50', sostituire la testa con la mano, ingannare l'arbitro tunisino, è roba da Houdini. Tutto in una partita, tutto in cinque minuti: male e bene, furbizia e esagerazione, dadaismo e astrattismo, trucco e capolavoro, pugno e carezza, comunque magia. Ha spiegato il regista Kusturica: "Maradona è scisso, molto più di noi, intensamente scisso, quella mano che ruba, quella serpentina che esalta, fa pensare a Marlon Brando, a un attore, Diego dovrebbe sempre giocare e l'arbitro non fischiare mai la fine della partita".Un gol di rapina, da ribelle, violando le regole, un gol di bellezza, ristabilendo le regole, il più forte che si beve i più deboli. C'è sempre uno slalom, una fuga tra gli ostacoli, come una poesia che scappa, nelle classifiche del mondo. Anche Pelé ne segnò uno così il 5 marzo '61, assai bonito, contro la Fluminense, il più bel gol tra i suoi 1.282: zigzagò tra Valdo e Edmilson, lasciò indietro Clovis, Altair e Pinheiro, si liberò di Jair Marinho, scartò Castilho. Anche i suoi compagni Doraval e Coutinho, rimasero stupiti: "Sembrava una nave ubriaca che si divertiva tra le onde". Solo che il filmato di quel gol non c'è più, è stato rubato da un ladro, forse da un collezionista, che l'ha sostituito con un'altra azione. Mentre la rincorsa di Maradona c'è ancora, è una colonna sonora che resta e su quella sciagurata uscita di Shilton, che già vecchio allora (37 anni), fu avviato alla pensione da quel gol, ci hanno fatto un video-game. Il gol del secolo ha generato una letteratura del secolo. Ne hanno scritto tutti: Galeano, Soriano, Montalbàn, Amis, piccoli e grandi, sudamericani e europei, in molti l'hanno anche cantato, con la faccia allucinata di Juanse, dei Ratones Paranoicos, dei Topi Paranoici. Se vai in Argentina e ti siedi al bar c'è sempre qualcuno che con carta e penna si mette a fare lo schizzo dell'azione, se chiedi a Jorge Valdano, numero 11 di quella nazionale, si metterà il dito sulla bocca, per farti capire che quello che si dissero quel giorno nello spogliatoio resterà segreto. Come se la lunga storia del gol più bello del mondo avesse ancora la palla al piede.


da www.repubblica.it

giovedì 16 giugno 2011

LA FRETTA

E' il titolo di una poesia di Trilussa.
E non ha bisogno di alcun commento:


"Se stà a fà sera e nantra giornata de lavoro se n'è annata:
c'ho l'ossa tutte rotte, la capoccia frastornata.
Cammino senza prescia, tanto, che devo fa?
Si torno a casa me tocca pure sfacchinà!
Sur viale del tramonto me fa l'occhietto er sole,
e dopo nà giornata a dà i resti a chi li vole,
l'osservo m'bambolato, come fosse, nà visione.
Me fermo lì a guardallo, ma chi l'avrà inventato?
È bello forte, nun l'avevo mai notato!
Sempre a combatte, sempre appresso a tutti i guai,
splende splende, ma nun m'o godo mai.
È robba che co quell'aria bonacciona e rassicurante,
riuscirebbe a fà sentì amico ogni viandante.
Stà palla arancione m'ha messo pure arsura, ma, ahò!
Nun so mica nà monaca de clausura!
E allora ò sai che nova c'è? Io nun c'ho più fretta
e me butto drent'ai meandri dè nà fraschetta.
Con le zampe sotto ar tavolino,
e in compagnia dè n'ber fiasco de vino,
me guardo intorno soddisfatto,
finalmente ho smesso de sbrigamme come un matto!
E mentre er Cannellino m'arriva ar gargarozzo
Rido cò n'amico e ordino nantro litrozzo.
La vista me se annebbia ma non la mia coscienza
che se mette a riflette sull'umana esistenza:
a che serve stà sempre a core pè tutte le raggioni
si so quasi sempre rotture dè cojoni!"

domenica 5 giugno 2011

SPLENDORE E MISERIE DEL GIOCO DEL CALCIO

I sogni, il mistero, le illusioni, la tecnica, ma soprattutto la bellezza. Il calcio, per Eduardo Galeano, è un favoloso groviglio di splendore e miserie: questo il titolo di un suo famoso libro che è, ormai da anni, un classico. E attorno alle due parole-chiave, splendore e miseria, ruotano anche questi giorni convulsi per il nostro povero pallone.

Galeano, cominciamo dalle miserie? "Sto seguendo l'ultimo scandalo che ha colpito il vostro sport. Tristissimo, veramente. Ma è la conferma che il calcio non è un'isola: non genera da sé violenza, corruzione, miseria morale, bensì le condivide con una società senza riferimenti, dove i potenti ingannano, rubano, mentono. Il football non è un capro espiatorio. C'è di peggio, credetemi, di un portiere che vende le partite o droga i compagni di squadra".

Ci fa un esempio?"Qualche primo ministro. I nomi? Eh, sapete, io vengo da lontano e me ne intendo poco... Oppure i banchieri che hanno impoverito il mondo. Nessuno di loro è stato arrestato. Non i grandi, almeno. C'è chi ha violentato interi Paesi, e ha chiuso violentando cameriere d'albergo".

Come ci si oppone alla miseria, soprattutto quella interiore?"Con la coscienza, con la capacità di ascoltare lei e non la convenienza. Come fece quel centravanti colombiano, tal Devani, che in un vecchio derby a Bogotà disse all'arbitro che non era rigore quello 

che gli aveva appena concesso. Sono inciampato da solo, spiegò. Ma l'arbitro guardò la folla inferocita, che quel rigore voleva assolutamente, e rispose: grazie, però io preferisco restare vivo. Allora il centravanti andò al dischetto della morte, appoggiò il pallone e tirò fortissimo: fuori. Da quel giorno cominciò la sua fine sportiva, eppure quel giorno rappresenta il momento di massima gloria di tutta la sua vita. Perché egli, appunto, ascoltò la voce della coscienza e non della convenienza".

Lo sport non dovrebbe essere un luogo dove si proteggono le illusioni e i sogni?"Dovrebbe, ma non è, anche se nella contraddizione sta la sua fecondità. In Uruguay ci indigniamo quando un centravanti simula un fallo da rigore, diciamo che è un pessimo esempio per i bambini. Io penso che sia peggio scaricare bombe sugli innocenti, chiamandola "missione di pace" invece di usare il suo vero nome: guerra".

Cosa può spingere un atleta a tradire e barare? Solo il denaro?"Forse c'entra anche la condanna al successo. Ormai, non solo nel calcio, la sconfitta viene vissuta come una realtà senza redenzione. Quello che non rende, non serve. Abbiamo creato il mito dell'efficienza a qualunque costo, e le persone deboli cercano scorciatoie. La cosa grave, tuttavia, è il messaggio di impunità che talvolta si accompagna ai crimini. Questo è inaccettabile per gli onesti".

Però il calcio ha un grande potere consolatorio: è riduttivo, questo ruolo, o necessario?"Siamo mendicanti di bellezza, e il calcio ci riempie gli occhi. Lionel Messi è l'unico vero messia in un mondo che inganna. Il Barcellona è splendore, certamente. Amo questa squadra solidale, creativa, piena di gioia di giocare, che non cerca atleti grandi e grossi e dà invece pieni poteri alla fantasia. La finale di Coppa dei Campioni contro il Manchester United è stata meravigliosa".

Meglio il Barcellona del Real Madrid, dunque."Non si discute neanche, Mourinho è un orrore".

A proposito di finali: il Peñarol di Montevideo si giocherà la Libertadores contro il Santos: a una squadra uruguaiana non accadeva da 23 anni.
"Non sono tifoso del Peñarol, ma spero vinca. Ogni tanto bisogna togliersi la maglia con i propri colori sociali, e pensare più sportivamente".

Lei ha scritto pagine memorabili sul mundial argentino del '78, usato dai militari per coprire i loro crimini. Pensa che lo sport sia ancora uno strumento di potere?
"Purtroppo sì. C'è chi manipola una passione universale per puro interesse privato, e questo è da delinquenti. Lo fece Hitler nel '36, umiliato dalla vittoria del Perù contro l'Austria: nella notte dopo la gara venne cancellata la vittoria, ottenuta con i gol di attaccanti neri. Però abbiamo esempi meno clamorosi e più recenti".

Cosa pensa dei politici che usano lo sport?"Ne ricordo uno, anche se il nome mi sfugge. Italiano, mi pare... Disse, più o meno, che avrebbe fatto al suo Paese le stesse cose che aveva fatto con la sua squadra di calcio. Non andò proprio così".

Come si diventa grandi narratori di sport?
"Guardando e ascoltando. Se l'uomo ha una sola bocca, ma due orecchie, significa che prima di parlare dovrebbe ascoltare due volte".

Perché gli scrittori sudamericani hanno scritto le pagine più belle della letteratura sportiva?
"Non so se questo sia vero, comunque noi cerchiamo di tradurre la voce della realtà mescolandola al sogno e alla magia. Bisogna sempre partire dalla cose minime, dai dettagli. Io amo confrontarmi con le vicende difficili e profonde, cercando di raccontarle in modo semplice. La realtà regala le storie migliori, non c'è bisogno di ricamarci troppo. Credo nella grandiosità delle piccole cose, anche se il nostro tempo malato ha confuso la grandiosità con la dimensione del reale: una cosa, se grossa, non è necessariamente grande, anzi è spesso il contrario".

Come si cerca, lo splendore?
"Ne ho appena visto molto tra gli "indignados", i ragazzi che ho incontrato in Spagna. Alcuni loro cartelli erano memorabili, ad esempio quello che diceva "se non ci farete sognare, non vi faremo dormire". Oppure, il mio preferito: "La rivoluzione del senso comune".

Contro le miserie, anche lo splendore di un po' di ottimismo?
"Io mi aspetto sempre che dentro questo mondo che non desidero, e che mi piace sempre meno, ci sia nascosto un altro piccolo mondo possibile e migliore, come dentro la pancia di una futura mamma".

Il mondo piccolo e migliore comincia dalle persone?
"Sempre, e dalla loro capacità di amare. Ricordo quando incontrai per la prima volta Obdulio Varela, l'eroe della Coppa del mondo che l'Uruguay strappò al Brasile nel 1950. Si narra che, la sera, questo grande giocatore abbandonò la festa dei suoi compagni, in albergo: me lo confermò egli stesso. Era andato vagando nei bar di Rio, per osservare le persone. Mi disse: "Dentro lo stadio Maracanà, la folla mi era parsa un mostro con 200 mila teste e l'avevo odiata. Ma adesso, dopo la sconfitta, ognuna di quelle teste piangeva da sola. Ne abbi un'immensa tristezza". Il mio amico Obdulio trascorse l'intera notte, per così dire, abbracciato a coloro che aveva fatto soffrire. Ecco, a me sembra un esempio bellissimo di compassione. E' così, comprendendo le ragioni degli altri, soprattutto gli infelici, che forse si realizza un mondo migliore".



Da www.repubblica.it