venerdì 27 maggio 2011

SESSO, DROGA E ... MAFIA


Questo post intende andare oltre ogni ideologia o giudizio di carattere morale, e proporre due semplici soluzioni di politica economica al cancro che paralizza l’Italia: l’economia criminale e l’evasione fiscale.

Nel XII rapporto sulle attività mafiose in Italia, redatto da Sos Impresa, società di Confesercenti, risulta che la prima azienda per fatturato e utile netto è la “Mafia SpA”: i numeri sono impressionanti, si stima che il fatturato sia di 135 miliardi di euro l’anno, l’utile di 78 miliardi e un “ramo commerciale” che genera un volume d’affari che da solo supera i 100 miliardi di euro, una cifra pari a quasi il 7% del PIL italiano. Ovviamente questi “gloriosi” risultati sono ottenuti tramite racket e usura, minacce e attentati, sfruttamento della prostituzione, spaccio di sostanze stupefacenti, e tanto altro; ormai le mafie sono presenti in tutti i settori dell’economia italiana, dall’edilizia al business dei centri commerciali, dal comparto ortofrutticolo allo smaltimento dei rifiuti e alla realizzazione di impianti ad energia rinnovabile. Un grandissimo giro d’affari che, in quanto illegale, è quasi totalmente “esentasse” e quindi non contribuisce, se non indirettamente, ad aumentare le entrate dello Stato. Quanti di questi miliardi potrebbero essere utilizzati per la crescita economica legale del nostro Paese, e redistribuiti per finanziare le pensioni, la sanità, la ricerca e lo sviluppo? E quanto migliorerebbe la crescita di lungo termine, grazie al risanamento dei conti dello Stato, e quindi la riduzione del debito pubblico e degli interessi su quest’ultimo?

A questo punto propongo una soluzione, più da uomo della strada che da economista, partendo da un dato di fatto storico: il proibizionismo ha fallito. Come successe per l’alcool, anche per quanto riguarda la droga e la prostituzione non è compito dello Stato proibire che le persone traggano “piacere” dal consumo di questi “beni”: se lo Stato lo vieta, i consumatori troveranno canali alternativi per l’approvvigionamento, il che vuol dire lasciare il monopolio alla criminalità organizzata. Come è stato scritto su The Economist (che non ha certo posizioni libertarie) in un articolo del 5 marzo 2009 “regolamentando e tassando il commercio di stupefacenti si può trasformare il problema in una questione di sanità pubblica. Gli introiti fiscali potrebbero essere investiti nei programmi per la prevenzione e la cura delle dipendenze. La legalizzazione, inoltre, contribuirebbe a sconfiggere il narcotraffico, a migliorare le condizioni di vita nei paesi del terzo mondo che producono droghe e a diminuire le possibilità di finanziamento del terrorismo. Aumenterebbe anche la sicurezza di chi fa uso di stupefacenti, perché migliorerebbe la qualità dei prodotti. […] Non è vero che la legalizzazione fa aumentare i tossicodipendenti: il consumo nei paesi dove le droghe sono legali è lo stesso che in quelli dove sono vietate. Invece è dimostrato che il proibizionismo è dannoso, soprattutto per i paesi più poveri. La legalizzazione è una brutta soluzione, ma dopo decenni di fallimenti forse vale la pena provare”.

E aggiungo: volendo si può estendere tale ragionamento alla prostituzione clandestina; perché non riaprire i “bordelli”, in modo che lo Stato controlli un fenomeno (il mestiere più antico del mondo) altrimenti in mano alle mafie, ottenendo da esso entrate fiscali e maggiori controlli sanitari?

Non so se sia giusto o sbagliato drogarsi e andare con una prostituta, ma sono certo che combattere le mafie e l’evasione fiscale è giustissimo. 
Questo è un modo per farlo.

giovedì 19 maggio 2011

DON GALLO, PRETE DA MARCIAPIEDE

Ho divorato in 2 giorni un libro di don Andrea Gallo, "Così in terra, come in cielo".
Don Gallo è uno dei pochi veri preti che operano all'interno della chiesa cattolica.
Un prete da marciapiede, fondatore della "Comunità di San Benedetto al Porto di Genova", che accoglie chi ne ha bisogno e chi vuole provare a ripartire da zero verso una nuova vita.
Ultraottantenne lucido e ironico, sgrana il rosario laico di Fabrizio De Andrè e racconta storie di vicoli e bassifondi genovesi che tanto somigliano a quelle delle Scritture; e non si risparmia nelle sue posizioni anarchiche in merito alle tematiche come il testamento biologico, l'immigrazione, la liberalizzazione delle droghe, l'aborto, il sacerdozio femminile.
Ecco un brano tratto dal suo libro:
"Tributo a Faber
Dori, quando organizzò a teatro il tributo a cui parteciparono i big della canzone, riservò 250 posti per me, e io mi presentai a teatro coi miei derelitti. Qualcuno dell'organizzazione intendeva mandarli nel loggione, confinarli lassù, con la scusa che non c'era più spazio a disposizione. "Non vi preoccupate" dissi "ci penso io." Fermai il traffico della sala e come un vigile li feci sedere in platea, tre qui, due là, tossici, barboni, prostitute accanto a notai, dame e politici.
"No, lì no" mi intimarono. "Lì ci va il ministro della Cultura Giovanna Melandri."
"Allora le mettiamo accanto una puttana delle vecchie case, vedrai come esce arricchita dall'incontro!"
Erano tutti molto preoccupati, mi chiedevano garanzie su ciò che sarebbe successo e io li tenevo sulle spine rispondendo che non potevo saperlo, essendo io un prete, non un indovino. Invece sapevo benissimo ciò che poi accadde: i miei emarginati erano quelli che durante le canzoni piangevano veramente."

giovedì 12 maggio 2011

LE MANI NELLA TERRA

Qualche giorno fa ho iniziato a fare un lavoretto semplicissimo all'aria aperta: ho strappato dei giunchi d'erba da alcune aiuole che devono essere risistemate.
I minuti passavano e l'erba nella terra era sempre meno, il sole mi baciava e gli uccelli cinguettavano, le mani erano sempre più sporche e il mio naso era inebriato dai profumi della natura.
E' bastata una "misera" mezz'ora in questa situazione quasi bucolica a farmi dimenticare le paranoie che mi porto dentro in questo periodo.
Il profumo dell'erba tagliata e l'odore della terra umida nelle mie mani mi ha riportato a quando ero bambino, a quella spensieratezza, e all'idea che c'è una via di fuga dal proprio cervello e dalla sua iperattività inutile.
Non servono droghe o alcol.
Basta fermarsi a guardare la natura e provare ad immergersi in questa quiete.
Sarà perchè non sono credente, e quindi penso che l'essere umano provenga solo e soltanto dagli elementi naturali (e in essi deve tornare): più vado avanti e più comprendo che il progresso umano, essenziale per vivere meglio, debba essere compensato necessariamente dal ritorno ad antiche abitudini e debba cedere al richiamo della natura.
E' proprio l'animale che è in noi a chiedercelo.