Quando due giorni prima di Ferragosto il governo ha emanato con il decreto legge 138/2011 la manovra di risparmio eccezionale per contrastare la crisi, non pochi si sono sorpresi trovandoci dentro, all’articolo 11, una nuova norma sui tirocini. Molto diversa da quella – il dm 142/1998 – che aveva regolamentato la materia negli ultimi 13 anni: una piccola rivoluzione. Gli addetti ai lavori si sono chiesti che c’entrasse, a fianco dei provvedimenti chiudi-province, alle tasse patrimoniali e alla riduzione dei costi della politica, una disposizione che limita la durata massima degli stage e la platea dei soggetti destinatari, e che di per sé non creerà alcuna entrata aggiuntiva nelle casse dello Stato.
Ma a caval donato non si guarda in bocca: e dunque la ‘Repubblica degli stagisti’ aveva salutato con favore questo punto del decreto, giudicando saggi i paletti posti.
Il primo: stage solo ed esclusivamente per studenti, categorie svantaggiate (disabili, invalidi, tossicodipendenti, alcolisti, carcerati), neodiplomati e neolaureati.
Il secondo: per chi ha conseguito il diploma o la laurea, possibilità di essere presi in stage limitata ai primi 12 mesi dalla fine degli studi: dopo questo periodo, l’inquadramento andrà effettuato con un vero e proprio contratto.
Il terzo: stage lunghi al massimo sei mesi e durata superiore, sempre per un massimo di un anno come già prevedeva la norma precedente, permessa solo per i tirocini “curriculari”.
L’intento dichiarato del ministero del Lavoro è quello di ridurre l’utilizzo dello stage, favorendo al contempo l’assunzione tramite contratti veri: tra cui, per i giovani, il famoso contratto diapprendistato, tutelante per il lavoratore e conveniente per l’azienda, che però negli ultimi anni ha stentato a decollare – forse proprio per la concorrenza sleale di altre forme più vantaggiose, come il co.co.pro e lo stage.
Il decreto dunque cambia tutto. Ma se il testo apparentemente sembra conciso e chiaro, a una seconda lettura ci si accorge che non sono specificati aspetti importanti. Il che non sarebbe un problema – basterebbe aspettare un po’ e prima o poi arriverebbe qualche circolare con i dettagli sull’attuazione. Peccato però che la norma sia contenuta in un decreto legge, che ha la particolarità di essere immediatamente operativo fin dal giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. In questo caso, cioè, dal 14 agosto.
Complice il periodo vacanziero, è passato qualche giorno prima che i diretti interessati – i 500mila stagisti, le università, i centri per l’impiego, gli enti che si occupano di intermediazione sul mercato del lavoro – si accorgessero delle lacune. E entrassero nel panico. In effetti questo articolo 11 lascia molti dubbi. Parla per esempio di “neodiplomati” e “neolaureati”, senza considerare le decine di migliaia di giovani che ogni anno fanno percorsi successivi – come corsi, master, scuole di specializzazione, dottorati.
Dal testo del decreto sembra che a tutti loro la possibilità di fare stage sia preclusa, ma chi conosce il mercato sa bene che spesso questi corsi si concludono proprio con uno stage. Stesso discorso per inoccupati e disoccupati: con le parole “i tirocini possono essere promossi unicamente a favore di neo-diplomati o neo-laureati” il decreto sembrerebbe proprio escluderli. Eppure Michele Tiraboschi, giuslavorista molto vicino al ministro Maurizio Sacconi, all’indomani della pubblicazione del decreto in Gazzetta ha assicurato che per loro il decreto legge non è valido, e anche che i programmi statali e regionali che promuovono stage in favore di disoccupati possono continuare tranquillamente. Però per ora è la sua opinione, mentre il testo letterale del dispositivo sembra dire il contrario.
A questo punto anche i soggetti promotori, in primis università e centri per l’impiego, brancolano nel buio. Si possono attivare stage per neo-masterizzati? E per disoccupati? A chi ha appena finito la prima parte di uno stage 6+6, può essere attivata la proroga o no? Vale più questo decreto legge o le eventuali leggi regionali già approvate o in corso di approvazione?
Il modo più corretto per risolvere questi dubbi sarebbe quello di girare le domande direttamente al ministero del Lavoro, attraverso un “interpello”. Lo possono fare università, sindacati, ordini professionali. Speriamo che qualcuno si svegli al più presto, perché finché non arriverà una risposta si continuerà a brancolare nel buio.
www.repubblicadeglistagisti.it
da Il Fatto Quotidiano del 27 agosto 2011
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