Senza casa e cibo non si vive. E non si vive senza medicine, scuole, vestiti, riscaldamento: sono i cosiddetti bisogni primari. Costano e la maggior parte dei nostri soldi finisce lì. Per qualcuno tutti i soldi finiscono lì; altri addirittura non riescono ad averne abbastanza. Eppure tutti, quelli che hanno più di quello che gli serve per soddisfare i bisogni primari, quelli che hanno quanto basta e quelli che ne hanno meno, tutti pagano le imposte nello stesso modo: su quello che incassano. Ed è una vera ingiustizia.
Immaginiamo una famiglia composta da marito e moglie, con un’entrata di 3.000 euro al mese e che spende per i bisogni primari 2.000 euro; ogni mese gliene restano 1.000 da risparmiare o da spendere per il superfluo. E adesso immaginiamone altre due, una con due figli e un’altra con due figli e anziani genitori a carico; anche queste incassano ogni mese 3.000 euro. La prima spenderà tutto per i bisogni primari e la seconda nemmeno ce la farà a soddisfarli. Eppure tutte e tre le famiglie pagheranno la stessa quantità d’imposte (salvo insignificanti deduzioni), diciamo 500 euro al mese. Perché? Perché le imposte si calcolano su quello che si incassa, nel nostro esempio sui 3.000 euro che entrano ogni mese in tutte e tre le famiglie. Vi pare giusto? Certo che no. Le imposte, dice l’art. 53 della Costituzione, si pagano sulla “capacità contributiva”. E la “capacità contributiva” è quello che si guadagna, non quello che si incassa. L’utile, non il ricavo. Nessuno penserebbe di tassare gli utili di un’impresa senza permetterle di detrarre i costi; vendo patate, alla fine dell’anno ho un utile di 1.000; quanto ho speso per comprare le patate? 500. Bene, pagherò le imposte su 500. Ma le persone fisiche non hanno diritto a detrarre quanto spendono per restare in vita: pagano su quello che incassano, non su quello che guadagnano. E in maniera iniqua, come si è visto.
Naturalmente, volendo, una soluzione ci sarebbe. Basta consentire a tutti di detrarre quello che si spende. Quello che resta è il guadagno, su cui si pagheranno le imposte. Detta così, pare una stupidaggine. Prima di tutto chissà quanta gente racconterebbe al Fisco di aver speso un sacco di soldi per bisogni primari, anche se non è vero. Poi, come si fa a controllare? E ancora: se, con i soldi che mi avanzano, compro una Porsche, non è giusto che, su questi soldi non paghi imposte. E infine: in questo modo il gettito tributario diminuirebbe paurosamente.
Ma una stupidaggine non è. Basta pagare senza soldi, con la cosiddetta moneta elettronica, la carta di credito, il bancomat, la carta prepagata. Vado dal macellaio, compro 20 euro di fettine e pago con la carta; sul mio conto ci sarà un’uscita che un semplice software, leggendo il Pos del macellaio, etichetterà come “soldi dati a Fettine Sopraffine d.i.”; e sul conto del macellaio ci sarà un’entrata che lo stesso software etichetterà come “soldi pagati da Bruno Tinti”. Alla fine dell’anno sempre lo stesso software calcolerà tutti i soldi incassati e spesi dal macellaio e quindi le imposte che deve pagare; e farà lo stesso per me. Fine della tassazione iniqua.
E anche fine dell’evasione fiscale. Perché il macellaio non potrà fare il “nero” e dichiarare alla fine un reddito fasullo; e, come lui, non lo potranno fare medici, avvocati, idraulici, imbianchini, baristi etc. Tutto quello che incassano finirà nelle banche dati del Fisco, poiché i clienti hanno interesse a usare la moneta elettronica: solo così possono detrarre dal loro reddito quello che spendono. Insomma un controllo incrociato capillare e gratuito; il Fisco deve solo organizzarsi e prendersi i soldi che gli toccano.
Già, ma mica tutti hanno una carta di credito! E perché no? È sufficiente pagare lo stipendio o la pensione accreditando i soldi su un conto bancario cui corrisponderà una carta di credito; con quella si pagherà tutto. E nello stesso modo faranno lavoratori autonomi e imprenditori. Se poi uno vuole a tutti i costi contanti, vada a ritirarseli in banca; ma le spese fatte in contanti non se le potrà detrarre.
Resta il problema della Porsche. Ma, prima di tutto, non è un problema per il Fisco: se anche io mi detraessi tutto quanto speso per la Porsche, le imposte le pagherebbe comunque quello che me la vende. E poi è sufficiente aggiungere al prezzo della Porsche una congrua tassa d’acquisto: chi la compra detrarrà dal suo reddito quanto speso per la Porsche, ma contemporaneamente pagherà un surplus destinato al fisco.
Infine la pretesa diminuzione del gettito tributario. Semplicemente non è vero: le imposte sui soldi spesi, detratti dal reddito di chi li spende, saranno pagate da quello che li incassa: i 20 euro delle fettine, su cui io non pago imposte, li pagherà il macellaio.
Molte di queste cose sono state già fatte; e subito disfatte. La tassa di acquisto sui cosiddetti beni di lusso è stata eliminata; gli elenchi informatici clienti-fornitori (e quindi la tracciabilità dei relativi pagamenti) c’erano, ma sono stati eliminati; l’obbligo di pagare con moneta elettronica c’era (da 100 euro in su), ma adesso si può pagare in contanti fino a 5.000 euro (ma solo per via delle norme anti-riciclaggio; per il Fisco, se pago in contanti una casa da 500 mila euro va benissimo): così l’evasione dei lavoratori autonomi che fanno “nero” è garantita. La conclusione è sempre la stessa: gli evasori votano; e votano chi gli garantisce di continuare a evadere. O, quantomeno, non votano chi glielo vuole impedire.
(BRUNO TINTI)
da ilfattoquotidiano.it
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